“O SIGNORE, fammi conoscere la mia fine
e quale sia la misura dei miei giorni.
Fa’ che io sappia quanto sono fragile”Salmo 39:4
Oltre a poter generare paura per la malattia e la coscienza della nostra evanescenza, il Covid potrebbe anche ispirare in noi una riflessione sulla speranza e, in particolare, sulla speranza che deriva dal Vangelo.
Il Salmo 39 dà voce al dolore della persona umana che patisce le distrette che lo colgono nel suo pellegrinaggio terreno (v. 2). Il senso d’impotenza, con le lacrime che lo accompagnano (v. 12), rendono il Salmista cosciente della propria vacuità ed evanescenza. Il tema della vanità rimanda al dilemma che fa struggere Qohelet; infatti, nel salmo (in soli tredici versetti!) appare per ben tre volte l’illustre termine hevel (vv. 5, 6, 11; cfr. Ecclesiaste 1:2; 12:10).
Covid, malattia e fragilità ci costringono a rientrare in noi stessi, a riflettere sulla nostra condizione e a chiederci “chi sono io in realtà?”, “qual è la mia misura, il mio limite, la mia forza?”, “che cos’è l’umanità?” (cfr. Salmi 8:4). Covid, malattia e fragilità ci aprono gli occhi su noi stessi e sul nostro mondo, dandoci prova del fatto che non possiamo controllare la vita come se fosse nostra proprietà. Ed è Dio stesso che tramite covid, malattia e fragilità ci sta parlando, per svegliarci dal nostro torpore tecno-nichilista!
La distretta e il dolore ridimensionano il Salmista e noi rispetto a Dio. Sebbene nel principio il salmo sia un mero monologo (v. 1), in seguito testimonia di un’apertura verso Dio, diventando confessione di peccato (v. 8) e confluendo nell’accoglimento della disciplina divina (v. 11).
La voce del nostro fragile corpo inerme dinanzi a Covid e malattia è una voce che vuole essere ascoltata: una voce che, misteriosamente e miracolosamente, diventa la voce di Dio. Questa voce di Dio – che è Gesù Cristo, il Verbo di Dio divenuto uomo (cfr. Giovanni 1:1-18) – ci parla per suscitare in noi speranza nella nostra disperazione. Infatti, seppure l’intera “creazione è stata sottoposta alla vanità” vi è “la speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione” (Romani 8:20-21).
In conclusione, dinanzi alla vanità e all’evanescenza della nostra esistenza, la voce di covid, malattia e fragilità stimola la nostra risposta: “E ora, o Signore, che aspetto? La mia speranza è in te” (v. 7).
Rev. Andrea Ferrari